Il fiume Omo scorre per 800 chilometri attraverso gli altopiani centrali dell’Etiopia e sfocia nel lago Turkana, che è il più grande lago permanente al mondo in un luogo desertico, situato in Kenya, al confine. Le acque dell’Omo garantiscono la sopravvivenza delle oltre 300 mila persone che abitano le sponde del lago, e di altre 200 mila lungo la bassa valle del fiume.
Nel dicembre 2016 è stata inaugurata la diga Gilgel Gibe III, progettata e costruita dalla italiana Salini-Impregilo, destinata alla produzione di energia elettrica (1870 MW di potenza) e alla irrigazione.
A valle della diga il governo etiope ha dato in concessione ampi appezzamenti di terre tribali ora irrigabili ad aziende straniere per realizzare grandi piantagioni di canna da zucchero e cotone, assetate d’acqua (7.000-29.000 litri per kg di cotone e 1.500-3.000 litri per kg di canna da zucchero; i valori più alti nelle zone più secche).
Il riempimento della diga e l’utilizzazione dell’acqua per irrigare le piantagioni ha fortemente ridotto la portata del fiume, ponendo fine alle piene che due volte l’anno alimentavano l’agricoltura e i pascoli del suo bacino depositando sedimenti alluvionali ricchi di sostanze fertilizzanti. Allevatori e pastori sono stati obbligati a migrare per trovare pascoli adatti e l’agricoltura locale ha iniziato a soffrire, rendendo ancora più critica la condizione dei contadini, già precaria per effetto della siccità indotta dal cambiamento climatico. Anche la pesca, naturalmente, ha risentito della minore quantità di acqua.
Non meno grave è l’impatto sul lago Turkana. A causa della diga già all’inizio del 2017 il livello del lago era sceso di 1,5 metri rispetto al 2015 e in una parte di esso, il golfo di Ferguson, le acque si erano ritirate di 1,7 km rispetto al 2014, con gravissimo danno alla pesca. Le previsioni sono ancora più nere: il flusso di acqua verso il lago Turkana, a causa dei prelievi lungo il fiume Omo destinati alla irrigazione, si ridurrebbe del 70%; è inoltre facile prevedere che a causa del prosciugamento del fiume e del lago che da esso è alimentato, e in più a causa del cambiamento climatico, il clima dell’area diventerà ancora più secco e si avvierà un processo di desertificazione, togliendo ogni possibilità di sopravvivenza alle comunità che oggi vivono lungo le rive.
Si tratta di un dejà vu. Lo stesso è avvenuto con il lago d’Aral, a suo tempo uno dei più grandi laghi del mondo situato fra l’ Uzbekistan e il Kazakistan, quando a partire dagli anni ’50 le acque dei fiumi che lo alimentavano furono utilizzate per l’irrigazione di estese piantagioni di cotone. A causa dell’alimentazione ridotta e dell’evaporazione (il lago d’Aral, come il Turkana, si trova in un’area a clima secco), il lago si è via via prosciugato nel corso degli anni, lasciando il posto a un deserto di sabbia salata e tossica (la poca acqua che gli arriva è inquinata dai diserbanti e pesticidi usati nelle piantagioni) in cui non c‘è più vita, né naturale né umana.
Tornando al lago Turkana e al fiume Omo, tutto ciò che avviene sta portando, e sempre di più porterà, altre conseguenze, oltre alla fame. Una è l’insorgenza di epidemie, in particolare colera, a causa della pozze di acqua stagnante usate per bere, e alla denutrizione. L’altra è la migrazione, nella speranza di trovare altrove possibilità di sopravvivenza. Un’altra ancora è quella dell’innescarsi di conflitti armati interetnici o fra agricoltori e pastori, a causa della competizione sulle scarse risorse di acqua; conflitti che vanno a rendere ancora più instabile e preda di bande armate la regione al confine fra l’Etiopia, il Sud-Sudan e il Kenya. Quest’ultima condizione costituisce un ulteriore incentivo alla migrazione, verso le città e/o verso l’Europa.