Da qualche tempo si sente parlare sempre più spesso di Antropocene. Per esempio, la decima conferenza triennale della International Landscape Ecology Association (IALE, in Italia SIEP – Società Italiana di Ecologia del Paesaggio), che si terrà a Milano all’inizio del prossimo mese di luglio, ha come titolo “Nature and society facing the Anthropocene: challenges and perspectives for landscape ecology” [1]. Anche qui su connettere.org se ne è parlato di recente, in un esauriente articolo di approfondimento scritto dal professor Giuseppe Barbera [2].
Il concetto di Antropocene, coniato dal biologo Eugene Stoermer già negli anni 80 del secolo scorso e proposto ufficialmente come epoca geologica nel 2000 dallo stesso Stoermer assieme al premio Nobel per la chimica Paul Crutzen [3], viene utilizzato comunemente in due modi, abbastanza diversi tra di loro. Da una parte, in senso stretto, designa appunto una nuova epoca geologica, che si susseguirebbe all’Olocene. Non c’è un accordo amplio in seno alla comunità accademica rispetto a tale definizione: è tuttora in corso un dibattito all’interno della Commissione Internazionale sulla Stratigrafia, che dovrebbe determinare se l’Antropocene possa essere identificato davvero come epoca geologica e proporne la data di inizio. Tra le differenti possibilità, sembrerebbe che i geologi propendano per il periodo della cosiddetta grande accelerazione iniziata nel bel mezzo del XX secolo, a cui corrisponderebbe in termini stratigrafici la presenza di radioattività nei terreni, frutto degli usi civili e militari dell’energia nucleare (si veda l’articolo del Gruppo di lavoro sull’Antropocene, pubblicato su Quaternary International nel 2015 [4], nonché l’immediato commento critico di risposta [5]).
Dall’altra parte, studiosi provenienti principalmente dalle scienze sociali usano il termine in senso lato, cioè si riferiscono con esso all’attività umana e alla sua relazione dialettica con la natura senza preoccuparsi troppo di darne definizioni esatte in termini di storia geologica e men che meno di segnali stratigrafici (il cosiddetto golden spike che segnerebbe la demarcazione tra due epoche). Tra di loro spiccano Jason Moore [6] e Bruno Latour [7], che si mostrano abbastanza critici con il termine, affermando che viene usato per scaricare le responsabilità della deriva ecologica sull’umanità in quanto tale, invece di assumere che ci siano evidenti responsabilità della particolare forma di organizzazione sociale che abbiamo costruito con il passare del tempo, cioè il capitalismo e in particolare quello della fase economica attuale, conosciuta anche come fase neoliberista [8], caratterizzata dal predominio della finanza sulle attività di produzione nella generazione di plusvalore e dalla globalizzazione dei mercati [9]. In tal senso, Moore propone il termine Capitalocene per definire la fase storica in cui viviamo. Afferma quindi, per esempio, che il cambiamento climatico è capitalogenico – invece che antropogenico – e che il capitalismo è un sistema ecologico che realizza se stesso nella natura – invece che sopra o al di fuori di essa.
Per quanto riguarda invece il terzo termine citato nel titolo di questo articolo, esso è stato proposto dal fisico Geoffry West [10] ed è meno diffuso dei due precedenti. Secondo West, l’Antropocene corrisponderebbe ad un tempo ormai passato (forse coincidente addirittura con tutto l’Olocene), mentre staremmo entrando in un’epoca successiva, caratterizzata dalla vita urbana, da cui il termine Urbanocene. Probabilmente è una visione tutt’altro che fuori bersaglio, anche in senso stratigrafico. Tralasciando una discussione sulla nomenclatura – che andrebbe a sottolineare più che altro l’uso poco corretto del suffisso “cene”, che significa “nuovo” (dal greco kainós) e che viene ereditato dalla tradizionale nomenclatura stratigrafica generando non pochi litigi piuttosto sterili, si veda il citato commento [5] – bisogna rilevare infatti che i segnali della presenza di materiali utilizzati nella costruzione (specialmente, il calcestruzzo) rimarranno per lunghissimo tempo nel terreno, arrivando a costituire molto probabilmente una chiara serie stratigrafica, rilevabile da possibili geologi del futuro. Urbanocene quindi, potrebbe essere davvero la definizione giusta per l’epoca geologica in cui stiamo entrando.
Bisogna rilevare, giunti a questo punto, che l’analisi geo-storica di Moore diventa molto illuminante e utile per capire la transizione possibile dall’Olocene (o Antropocene) all’Urbanocene. Il capitale è infatti il motore dell’urbanizzazione: come già anticipato da Karl Marx, riaffermato dal padre della scienza ecologica Eugene Odum e largamente analizzato da David Harvey [11], le funzioni di appropriazione estraggono ricchezza dalla natura (sempre meno a buon mercato) e dal lavoro (umano e animale) e finiscono per depositare questa ricchezza nella finanza, che a sua volta la investe nei processi immobiliari. La continua urbanizzazione del territorio sarebbe quindi, fondamentalmente, prodotto del capitale che si sposta, più che dell’attrazione delle persone verso le crescenti opportunità di successo generate dalla città in quanto fenomeno emergente (in parte, contra Bettencourt & West, cfr. [12])
Riassumendo: è possibile che l’urbanizzazione sia la vera caratteristica dell’epoca in cui viviamo, così come è molto probabile che il capitale sia il responsabile ultimo della transizione (anche di scala) dalla centralità dell’uomo come specie (e come somma di singoli esseri provvisti di libero arbitrio) alla centralità della città come fenomeno collettivo (e con livelli gerarchici di inserimento in esso, dove gli individui potrebbero financo smettere di essere uguali tra loro in quanto alle possibilità di realizzazione delle aspirazioni individuali per trasformarsi in soggetti predestinati a funzioni specifiche all’interno del sistema sociale).
Che atteggiamento dovremmo quindi assumere di fronte ai processi in atto? Come cercare di pensare ad un futuro con un riscaldamento globale annullato o quanto meno contenuto? Ad una società che ancora preservi il diritto all’uguaglianza di condizioni come valore di base? Ad un sistema ecologico che non sia mosso principalmente dalla dinamica del plusvalore? Probabilmente un cambio sistemico è necessario: una nuova struttura economica che ponga le condizioni per il risorgimento della sostenibilità, intesa come un albero che getti le sue radici nell’ambiente, nutrito dalle giuste politiche e che permetta lo sviluppo di società differenti e l’affioramento di una sempre maggiore ricchezza culturale come risultato.
[1] http://www.iale2019.unimib.it/
[2] https://www.connettere.org/antropocene-agricoltura-paesaggio/
[3] P. J. Crutzen and E. F. Stoermer (2000). The “Anthropocene”. Global Change Newsletter 41, p. 17
[4] J. Zalasiewicz et al. (2015). When did the Anthropocene begin? A mid-twentieth century boundary level is stratigraphically optimal. Quaternary International 383, p. 196-203
[5] M. Walker, P. Gibbard and J. Lowe (2015). Comment on “When did the Anthropocene begin? A mid-twentieth century boundary level is stratigraphically optimal” Quaternary International 383, p. 204-207
[6] J. Moore (2016). The rise of the cheap nature. In Anthropocene or Capitalocene? Nature, History and the Crisis of Capitalism. J. Moore (Ed.), Kairos, PM Press, Oakland, USA
[7] B. Latour (2017). Facing Gaia. Eight Lectures on the new climatic regime. Polity Press, Cambridge, UK
[8] D. Harvey (2005). A Brief History of Neoliberalism. Oxford University Press, Oxford, UK
[9] J. Stiglitz (2002). Globalization and Its Discontents. Norton and Company, USA
[10] G. West (2016). From the Anthropocene to the Urbanocene. In Scale, Penguin Press, NY, USA
[11] D. Harvey (2017). Seventeen Contradictions and the End of Capitalism. Oxford University Press, Oxford, UK
[12] L. Bettencourt and G. West (2010). A Unified Theory of Urban Living. Nature 462, p. 912.913
Figura: Una visione rivoluzionaria della sostenibilità. Da: messaggio di inaugurazione del sesto foro mondiale della sostenibilità, Città del Capo, Sud Africa. Autore: Max Manfred Bergman, 26 gennaio 2017
Non ci saranno cambiamenti radicali fino a quando la crisi ambientale non sarà brutalmente ovvia ed evidente. I cambiamenti saranno crudelissimi. Per la civiltà urbana sarà troppo tardi, ma il Pianeta ha altri tempi.
Poi si ricomincerà.