Un numero speciale della prestigiosa rivista medica The Lancet del maggio 2009 titolava: “Il cambiamento climatico è la più grande minaccia globale alla salute del XXI secolo”. Dieci anni dopo, nel gennaio del 2019, l’altrettanto prestigiosa The New England Journal of Medicine scrive: “Il cambiamento climatico sta già pregiudicando la salute dell’umanità”.
Perché questo allarme? Neanche si fosse davanti allo spettro di una nuova forma di peste, di cui non si conosce la cura.
Le ragioni sono numerose. Alcune di immediata comprensione: uragani, nubifragi violenti, alluvioni e incendi causano morti e feriti, per annegamento e/o per lesioni. Altre ragioni sono quelle evidenziate dal New England Journal of Medicine e che sono conseguenze delle ondate di calore, cioè di quei periodi eccezionalmente prolungati, in estate, di alte temperature giorno e notte:
- Con temperature più elevate e con ondate di calore estive più lunghe aumenta la mortalità, in particolare tra i soggetti più vulnerabili – anziani, poveri, bambini e persone con malattie mentali, principalmente a causa di crisi cardiache e respiratorie.
- Gli incendi boschivi più estesi, più frequenti e di più lunga durata, riducendo la qualità dell’aria sottovento, aumentano le malattie respiratorie e cardiovascolari.
- Temperature più elevate e soleggiamento più intenso aumentano anche i livelli di ozono, compromettendo la funzionalità polmonare e aggravando l’asma.
L’impatto delle ondate di caldo è aumentato costantemente in tutto il mondo, con 157 milioni di persone in più che ne hanno sofferto nel 2017, rispetto al 2000. Un numero di tutto rispetto.
Si stima che le ondate di calore diano luogo a decine di migliaia di morti all’anno; molti forse ricordano l’estate 2003, che è stata un esempio di aumento eccezionale della mortalità in Europa a causa della persistenza di alte temperature; si stima siano morte prematuramente 70.000 persone. Alle conseguenze sulla salute bisogna aggiungere quelle sociali ed economiche: a causa di queste ondate sono state perse 153 miliardi di ore di lavoro nel 2017, e sono stati erogati servizi sanitari per un costo compreso tra i 2 e i 4 miliardi di dollari all’anno.
Alte temperature e bassa umidità sono la causa principale degli incendi boschivi, sempre più frequenti, che sono un’altra causa di mortalità prematura (339.000 decessi all’anno), derivante dall’inquinamento dell’aria a cui danno luogo, e spesso sommano i loro effetti a quelli causati dalle ondate di calore a cui si accompagnano.
Un esempio si è avuto nell’estate 2010, in Russia. Mosca era circondata da incendi e una coltre di fumo copriva l’intera capitale. L’ondata di caldo, combinata con l’inquinamento atmosferico, ha causato oltre 11.000 ulteriori morti rispetto agli stessi mesi del 2009.
Circa 2 miliardi di persone, nel mondo, sono oggi esposte a mortali ondate di caldo, e diventeranno oltre 5 miliardi nel 2100 anche se le emissioni saranno drasticamente ridotte; se ciò non dovesse avvenire, il totale delle persone esposte salirebbe a oltre 8 miliardi.
In Europa, a soffrire di più saranno tendenzialmente le città dell’Europa meridionale, e qualche città anche al nord, in cui le ondate di calore aumenteranno di frequenza: il primato fra le capitali, al sud, spetterà a Roma e al nord a Stoccolma.
Fin qui gli effetti diretti del cambiamento climatico sulla salute. Poi ci sono quelli indiretti, più subdoli, meno noti e ancora più pericolosi. Vediamoli.
La temperatura più elevata dell’acqua, conseguenza del riscaldamento globale, facilita la crescita di organismi patogeni in essa presenti, come le specie coliformi e i vibrioni. Le aree interessate da malattie trasmesse da insetti (come la malattia di Lyme, l’encefalite da zecche, la malaria, la leishmaniosi, la peste e altre) si espandono quando i loro vettori si diffondono verso nuove aree geografiche che l’aumento di temperatura rende adatte al loro sviluppo. Inoltre la riproduzione dei vettori di infezioni, il ciclo di sviluppo dei parassiti e la frequenza delle punture generalmente aumentano con la temperatura. Si prevede pertanto che tali malattie siano destinate ad aumentare a seguito del riscaldamento globale. Del resto, i primi segni già ci sono: nel 2016 la diffusione delle malattie trasmesse dalle zanzare era aumentata di circa il 10% rispetto al 1950.
La diffusione della malaria dipende dalla temperatura, e un riscaldamento anche modesto può causare grandi aumenti della sua trasmissione. Le zanzare responsabili della malaria cresceranno di numero, espandendosi verso latitudini più elevate e verso zone a quota più alta, diventate più calde. Si stima che 260-320 milioni di persone in più saranno colpite dalla malaria entro il 2080 come conseguenza della espansione delle aree in cui si trasmette.
Anche le zanzare vettori della dengue sono sensibili al clima; a livello globale, la dengue è aumentata di 30 volte negli ultimi 50 anni e attualmente ogni anno si verificano circa 390 milioni di infezioni. Entro il 2080, circa 2,5 miliardi di persone in più saranno a rischio di contrarre la febbre dengue come conseguenza del cambiamento climatico.
E non saranno colpiti solo i paesi in via di sviluppo, che comunque subiranno le peggiori conseguenze, ma anche quelli sviluppati. L’Agenzia Europea dell’Ambiente prevede che lo stesso avverrà in Europa, dove le malattie trasmesse da vettori sono già un problema emergente di salute pubblica. La malattia di Lyme è la più comune, con un’incidenza segnalata di circa 85.000 casi all’anno; il numero medio di casi segnalati di encefalite da zecche è stato di circa 2.900 all’anno nel periodo 2000-2010. Le malattie trasmesse dalle zanzare non sono state una preoccupazione sostanziale fino a poco tempo fa, ma in alcune zone dell’Europa negli ultimi due decenni le condizioni climatiche sono diventate più adatte per la zanzara della febbre gialla, il principale vettore del virus, e per la zanzara tigre, che ne è pure portatrice, e si sono verificati focolai di chikungunya, dengue e persino malaria trasmessi localmente.
Va osservato che gli eventi meteorologici estremi quali gli uragani e le inondazioni non hanno solo effetti diretti, ma hanno anche un impatto indiretto sulla salute a causa dell’aumento delle infezioni dovute alla presenza di agenti patogeni nell’acqua e nel cibo.
Le inondazioni che si ritirano, inoltre, lasciano stagni che favoriscono la riproduzione delle zanzare. Dopo l’uragano Katrina, le infezioni da virus del Nilo occidentale sono raddoppiate.
Nel 1998, le precipitazioni intense e le inondazioni che si sono verificate a causa dell’uragano Mitch in Nicaragua, Honduras e Guatemala hanno causato un’epidemia di leptospirosi e un aumento del numero di casi di malaria, febbre dengue e colera.
Gli eventi meteorologici estremi, inoltre, possono causare stress e ansia, esacerbando la depressione e altre malattie mentali, e ci sono significative evidenze del fatto che il caldo estremo porta a una maggiore aggressività e violenza.
L’incidenza di suicidio e dei tentativi è aumentata a seguito dell’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005: una persona su sei nelle aree affette ha sviluppato disturbi da stress post-traumatico e il 49% ha sviluppato ansia e depressione.
Anche eventi a sviluppo lento come siccità prolungate provocano disagio psicologico cronico e aumento dell’incidenza del suicidio.
Infine, la diminuzione della produzione alimentare dovuta al cambiamento climatico determinerà un aumento delle malattie e della mortalità a causa della denutrizione e malnutrizione che ne deriva, specialmente nei paesi che ne saranno principalmente colpiti, quelli delle zone tropicali, che sono anche i paesi più poveri e quindi più vulnerabili; ma non mancherà di colpire anche le fasce più deboli della popolazione dei paesi sviluppati, a causa dell’aumento del prezzo degli alimenti e conseguente degrado della qualità dell’alimentazione.
Ma c’è di più: l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera causa una riduzione delle proprietà nutritive dei principali cereali, quali grano e riso, in cui diminuisce il livello proteico e di vitamina B, oltre a quello di numerosi altri micronutrienti. Causa ulteriore, questa, di malnutrizione.
In conclusione, secondo l’OMS, il cambiamento climatico causerà circa 250.000 morti in più all’anno fra il 2030 e il 2050, di cui 38.000 a causa dell’esposizione al calore negli anziani, 48.000 a causa della diarrea, 60.000 a causa della malaria e 95.000 a causa della denutrizione.
Le stime dell’OMS sono di solito caute, e non considerano la possibilità che i fenomeni di cui abbiamo parlato, e che sono causa di malattia e di morte, possano subire una forte accelerazione a causa del superamento dell’attuale equilibrio del sistema planetario: fenomeno fortemente temuto come possibile dalla comunità scientifica internazionale.
E allora, il cambiamento climatico come versione moderna della peste nera? Ma non diciamo sciocchezze, si sosterrà: abbiamo debellato tutte le malattie epidemiche mortali e non riusciremo a debellare gli effetti del cambiamento climatico? Le ondate di calore possiamo combatterle con l’aria condizionata; la malaria, la dengue, e tutte le altre malattie trasmesse dalle zanzare stiamo per debellarle, grazie all’ingegneria genetica che le renderà sterili, eliminando la specie nel giro di una-due generazioni. Siamo già avanti su questo. E i vibrioni nell’acqua? Basta aver cura di bollirla e di non mangiare molluschi crudi. E le zecche? La chimica fa miracoli e si possono trovare insetticidi che uccidono solo loro, o quasi.
Ebbene, non è così semplice. La situazione è molto diversa dalle altre del passato, quando ogni epidemia aveva una sua sola causa, precisa: un batterio, un virus, debellato il quale l’epidemia finiva. Oggi occorre individuare e combattere un gran numero di cause, tutte fra loro interconnesse: se risolvo un problema da una parte, ne creo un altro da un’altra e non vengo a capo della soluzione globale. Per esempio, l’uso crescente dei condizionatori aumenta la temperatura dell’aria nelle città, dove risiederà la stragrande maggioranza della popolazione mondiale alla fine di questo secolo, e questo aumento inasprisce le ondate di calore che colpiscono chiunque osi avventurarsi all’esterno. A parte il fatto che i più poveri non possono permettersi il condizionatore. Altro esempio: la eliminazione delle zanzare ha un impatto ecosistemico di cui non conosciamo la portata: a cosa può dare luogo? Privati delle loro prede usuali i predatori di zanzare potrebbero rivolgersi alla caccia di altri insetti, che magari invece ci sono utilissimi per l’impollinazione. E così debellando le zanzare causeremmo una diminuzione della produzione agricola. È una ipotesi, probabilmente sbagliata ma un’altra giusta potrebbe avere risultati simili.
E ancora: spruzziamo insetticidi nei campi per uccidere tutte le zecche. Con quali effetti? Anche le zecche fanno parte dell’ecosistema, a parte il fatto che nessun prodotto chimico fa bene all’ambiente, e a noi che ci viviamo. Potrebbero scatenarsi effetti peggiori di quelli che vogliamo combattere.
Questo, anche questo, è l’antropocene. E faremmo bene a preoccuparcene di più, facendo la sola cosa possibile: debellare la causa prima, cioè le emissioni di gas di serra.