Intervista a Gianfranco Bologna di Paola Fraschini
Pubblicato il 17/11/2023 su Punto Sostenibile
Gianfranco Bologna, maggior esponente della cultura dello sviluppo sostenibile in Italia, ci riporta là dove tutto è cominciato, al Big Bang, proseguendo poi attraverso le ere: dai primi organismi unicellulari alle grandi estinzioni di massa, dai primi antenati fino all’uomo contemporaneo.
Nel suo Noi siamo natura ci invita a scoprire – o a riscoprire – come il nostro corpo contenga gli stessi elementi chimici formatisi dall’esplosione delle prime stelle. Ci fa comprendere le connessioni che animano il pianeta, superando gli steccati tra discipline e orientando in modo corretto le azioni che possono garantire una vera sostenibilità. Cerchiamo di capirne di più.
Che cos’è l’Antropocene?
La conoscenza scientifica sin qui acquisita sugli effetti dell’intervento della specie umana causati ai sistemi naturali della Terra, ci dimostra che questi sono di fatto paragonabili a quelli provocati dalle grandi forze geofisiche (terremoti, vulcanesimo, tettonica a placche ecc.) e persino astrofisiche (come gli impatti della Terra con asteroidi).
Quindi il Global Change che ha sempre avuto luogo sul nostro pianeta, nella sua lunga storia di 4,6 miliardi di anni, oggi vede di fatto, come nuovo ‘attore’, un essere vivente che si è autodefinito sapiens e che esiste sul pianeta da circa 200-300.000 anni e che, negli ultimissimi secoli, sta provocando cambiamenti così significativi che, paradossalmente, possono persino mettere in crisi la sua stessa sopravvivenza. Per questo si è cominciato a pensare che la storia geologica della Terra possa essere ora contraddistinta da una nuova epoca, che viene definita Antropocene, proprio per sottolineare il ruolo pervasivo e trasformante dovuto alla nostra specie. Nell’ambito dell’International Union of Geological Sciences (IUGS) esiste un apposito gruppo di lavoro che studia, ormai dal 2009, l’eventuale ufficializzazione formale dell’Antropocene come nuova epoca geologica nella scala formale dei tempi geologici (Geological Time Scale).
Attualmente questa formalizzazione ancora non è stata ufficialmente approvata, nonostante il parere favorevole proposto dalla maggioranza dei componenti del gruppo di lavoro ma, nell’intera comunità scientifica internazionale, il riconoscimento del ruolo di enorme impatto dell’intervento umano sui sistemi naturali, suffragato da un incredibile quantità di dati e da un imponente bibliografia scientifica, è ormai ampiamente acclarato. A oggi abbiamo modificato almeno il 75% degli ambienti naturali delle terre emerse e, andando avanti così, si ritiene che nel 2050 la modifica riguarderà il 90% delle terre emerse, registriamo inoltre impatti antropici cumulativi significativi per almeno il 66% degli oceani mentre solo un 3% viene ritenuto non affetto dall’intervento umano, e si stima che almeno un milione di specie sia in pericolo di estinzione. Inoltre abbiamo profondamente modificato il sistema climatico, alcuni grandi cicli biogeochimici, come quelli dell’azoto e del fosforo, oltre ovviamente a quelli del carbonio, abbiamo alterato il ciclo idrico, acidificato gli oceani, abbiamo prodotto una incredibile qualità e quantità di nuove sostanze non metabolizzabili dalla natura (basti pensare simbolicamente alla plastica) ecc.; insomma stiamo sfruttando risorse oltre le capacità rigenerative degli ecosistemi e stiamo producendo rifiuti, scarti e inquinamento, in quantità tali che sono oltre le capacità ricettive degli ecosistemi. È evidente che andare avanti così non si può.
La popolazione umana si ritiene sia stata di circa 800 milioni quando è stata avviata la Rivoluzione industriale nel 1750 mentre oggi siamo 8 miliardi; una crescita di 10 volte in poco più di due secoli e mezzo. Uno stile di vita oggi presente soprattutto nei paesi più ricchi e industrializzati non può essere allargato a 8 miliardi di persone (inoltre le Nazioni Unite prevedono una popolazione di 9.7 miliardi nel 2050) pena una devastazione ambientale superiore all’attuale. È evidente che è fondamentale cambiare strada e bisogna farlo con urgenza e determinazione. E, come cerco di dimostrare nel mio libro, la sostenibilità è proprio riconoscere nei fatti che noi siamo natura, deriviamo dalla straordinaria evoluzione della vita sulla Terra (di cui narro le tappe affascinanti partendo prima dalle origini dell’Universo alle galassie e al sistema solare ecc.) e se respiriamo, beviamo e mangiamo è grazie alla natura. Applicare la sostenibilità vuol dire modificare significativamente il nostro modo di stare al mondo, sino ad oggi caratterizzato da una continua crescita materiale, quantitativa e illimitata, in un mondo dai chiari limiti biogeofisici.
Si tratta di una vera grande rivoluzione culturale che passa attraverso la consapevolezza di una visione sistemica e complessa di ciò che ci circonda. Non possiamo continuare ad affrontare i problemi del mondo odierno che abbiamo creato, con la nostra mentalità dominante della logica lineare causa-effetto, la realtà è molto più articolata e complessa, richiede di collegare culture, discipline, conoscenze e di essere consapevoli che ogni azione produce retroazioni e quindi feedback che possono essere persino rinforzanti degli stessi danni che stiamo continuamente infliggendo alla natura.
Partiamo da alcuni numeri di questa epoca geologica in cui stiamo vivendo. Tra i mammiferi, la classe animale alla quale apparteniamo, il 60% è costituito da animali da allevamento (bovini, caprini, ovini, equini e suini), il 36% dagli esseri umani e il 4% appena da mammiferi selvatici, dai piccoli toporagni alle grandi balenottere azzurre… dati drammatici che le chiederei di commentare. Quale è la specie animale più diffusa sulla Terra?
I più recenti dati sulla biomassa del nostro pianeta, dovuti agli scienziati del Weizmann Institute for Science israeliano, ci indicano che la nostra specie ha modificato le componenti della massa vivente sul pianeta, in maniera molto significativa, in particolare per alcuni gruppi di animali vertebrati, ma danneggiando con il suo impatto, tutte le categorie di animali e piante.
Il dato dei mammiferi, la classe di animali cui noi apparteniamo, non può non farci riflettere. Aver ridotto i mammiferi selvatici che vivono in natura solo al 4% dell’intera biomassa di questi animali, ci documenta ancora una volta il gravissimo danno che stiamo provocando in tempi brevissimi rispetto a quelli dell’evoluzione naturale, agli equilibri dinamici degli ecosistemi sulla Terra. Se andiamo poi a analizzare la classe degli uccelli, constatiamo che solo il 30% della biomassa di tutti i volatili oggi esistenti sono rappresentati da specie selvatiche, mentre il 70% è costituito da uccelli da allevamento, pollame e altro. Non solo ma, allo stato attuale delle cose, le statistiche FAO ci dicono che noi mangiamo ogni anno qualcosa come 65 miliardi circa di polli. Oggi possiamo dire che sono i polli, gli animali più abbondanti sulla Terra.
Non a caso, tra gli indicatori stratigrafici che contribuiscono a indicare l’epoca dell’Antropocene, sono state analizzate anche le ossa di pollo che si riscontrano nei suoli, considerando che l’utilizzo del pollame dovrebbe aver avuto inizio qualche migliaio di anni prima dell’era cristiana. Inutile sottolineare anche lo stato drammatico delle condizioni in cui vive la stragrande maggioranza degli animali utilizzati per l’alimentazione umana e, ovviamente, anche il gravissimo danno ambientale provocato dai grandi allevamenti zootecnici.
È vero che la massa dei materiali prodotti è superiore a quella dei viventi sul pianeta? Dove stiamo andando?
Questo è un dato di grande importanza che ci fa comprendere ancor di più il pesantissimo impatto umano sulla natura. Quella che viene definita la “human made mass”, la massa antropogenica, cioè tutto quanto di solido è stato prodotto dall’uomo e riversato sulla Terra, ha raggiunto la cifra iperbolica di 1100 miliardi di tonnellate (si tratta di calcestruzzo e aggregati, come ghiaie e sabbie, e poi mattoni, asfalto, metalli, plastiche, vetro ecc).
Nell’ultimo secolo questa massa è raddoppiata ogni 20 anni, come se ogni settimana ciascun essere umano avesse prodotto una quantità di oggetti pari al suo peso corporeo. Alla metà degli anni Cinquanta del ‘900 dopo la fine della seconda guerra mondiale, i mattoni che precedentemente erano prevalenti, sono stati sorpassati dal cemento e dopo un’altra decina di anni è iniziata l’ascesa dell’asfalto. Se paragoniamo il peso della massa umana a quella della massa dei viventi (la biomassa) il numero è praticamente e drammaticamente lo stesso. Inoltre agli inizi del Novecento il carico della massa umana valeva solo il 3% rispetto al peso degli esseri viventi. Oggi abbiamo invece raggiunto il pareggio. Quindi noi esseri umani che rappresentiamo solo lo 0,01% della biomassa globale abbiamo riempito il mondo di una massa artificiale equivalente a quella dei viventi! Va considerato che in questi calcoli non sono inclusi gli scarti delle attività umane dagli edifici abbandonati, alle scorie, alla spazzatura, ai materiali di risulta derivanti da escavazioni, demolizioni, miniere ecc. Qualsiasi persona di buon senso non può non rendersi conto che è impossibile proseguire su questa strada.
Cosa intendiamo con sostenibilità oggi? E la sosteniblablabla (per dirla alla Greta) quanto ci costa?
Purtroppo oggi il concetto di sostenibilità è profondamente svuotato di significato, ancor più di qualche decennio fa. Vi è un abuso di questo termine che costituisce in gran parte un vero e proprio greenwashing. Nonostante i primi straordinari allerta lanciati dalla metà del secolo scorso, le azioni concrete verso un cambio di rotta non si sono assolutamente verificate. Da quando è stato istituito l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) nel 1988, che ha pubblicato sei rapporti ufficiali sullo stato del clima, il primo dei quali nel 1990, indicando chiaramente e puntualmente le nostre responsabilità nel provocare un cambiamento climatico e l’avvio della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che, anno dopo anno, nelle famose Conferenze delle Parti (COP) ha cercato di trovare soluzioni avviando protocolli, come quello di Kyoto, e accordi, come quello di Parigi del 2015 che impegna i paesi a fare di tutto per mantenere l’incremento della temperatura media della superficie della Terra rispetto all’epoca preindustriale di 1.5°C e in ogni caso di non superare i 2°C (oggi siamo già a 1.1°C in più), l’umanità paradossalmente ha immesso nell’atmosfera una quantità di gas serra superiore a quanto avvenuto dall’epoca industriale fino al 1988. In pratica molte chiacchiere, pochi impegni concreti e nessun significativo cambio di rotta. Oggi sostenibilità significa proprio modificare il modello economico dominante della crescita continua che si è dimostrata in totale rotta di collisione con i sistemi naturali del pianeta e con quell’equità e giustizia sociale necessarie a rispettare le esigenze di base per la dignità di ogni vita umana sul pianeta. Oggi stiamo assistendo a una disuguaglianza intollerabile.
La nostra specie sembra non avere alcuna consapevolezza del fatto di derivare da processi evolutivi complessi e articolati che, negli ultimi 500 milioni di anni, hanno anche prodotto almeno cinque grandi estinzioni di massa, con la perdita di circa il 96% delle specie presenti sulla Terra. Oggi la tecnologia è giunta a un punto tale che, con la costruzione di armi nucleari sempre più sofisticate, nel caso di un loro significativo utilizzo potremmo scatenare un olocausto atomico con effetti globali simili a quelli che hanno causato le precedenti estinzioni di massa. Insomma, la specie intelligente che potrebbe essere la mente collettiva della terra corre il rischio di diventare la prima causa di una estinzione della vita sull’unico pianeta che conosciamo. Una situazione paradossale…
Certamente la situazione con il passare del tempo diventa sempre più critica e paradossale. Più incrementiamo le ricerche sull’affascinante funzionamento del nostro sistema Terra, comprendendo i legami, le connessioni e l’evoluzione di quelle che noi abbiamo definito come le principali sfere dello stesso (atmosfera, pedosfera, geosfera, idrosfera, biosfera, antroposfera), più conosciamo i climi e le ecologie del passato, più siamo in grado di capire come ci siamo evoluti e come quello che stiamo provocando agli equilibri dinamici della Terra può essere paragonato a situazioni del lontano e del vicino passato.
La Terra ha subito sconvolgimenti significativi in tutta la sua storia come quelli avvenuti durante le cinque grandi estinzioni di massa, ma questi grandi mutamenti (come quelli climatici del passato simili a quello che stiamo provocando oggi), non sono mai avvenuti con la presenza di 8 miliardi di abitanti che hanno ormai colonizzato e trasformato l’intero pianeta. Le finestre temporali per intervenire, con il passare del tempo, si stanno inevitabilmente riducendo e la nostra continua inazione, tipica di tutti questi decenni, deve essere assolutamente invertita.
Mi auguro che questo mio libro fornisca un utile contributo per tutte e tutti a capire le basi scientifiche sulle quali poggiare il contenuto autentico della sostenibilità. La nota geologa Marcia Bjornerud ha scritto in un suo bellissimo libro che ‘questa ignoranza della storia planetaria mina qualsiasi ambizione di modernità’. Credo che oggi la sostenibilità sia ovviamente l’unico modo per evitare situazioni che possono provocare la nostra estinzione.
Come studioso di lunga e preziosa esperienza sembra non aver perso l’ottimismo, siamo davvero ancora in tempo per cambiare rotta? C’è qualcosa che la preoccupa in particolare?
Credo che l’ottimismo debba sempre animare le azioni di tutte e tutti, soprattutto di chi si dedica a dare un contributo fattivo per il cambiamento. Il mio grande maestro Aurelio Peccei, fondatore nel 1968 del think-tank internazionale del Club di Roma, aveva uno straordinario ottimismo della ragione e mi domando spesso quali considerazioni farebbe oggi in merito alla situazione attuale, certamente molto più drammatica e peggiorata di quella esistente quando furono realizzati i primi rapporti commissionati dal Club, come il mitico ‘I limiti alla crescita’ del 1972.
Ciò che più mi preoccupa è lo iato drammatico esistente tra una conoscenza scientifica che ha raggiunto avanzamenti straordinari nella comprensione del funzionamento e dell’evoluzione del nostro universo, del nostro pianeta, degli incredibili legami esistenti tra vita e non vita, della comprensione dello stesso fenomeno della vita cui apparteniamo, di come operano gli ecosistemi e gli esseri viventi, che costituiscono la rete della vita cui apparteniamo tutti e la consapevolezza di tutto ciò da parte di tutti, in particolare delle figure che hanno responsabilità significative nel sistema economico e politico del mondo e di ogni nazione. E’ necessario un grande sforzo per impostare un apprendimento lungo l’arco di tutta la vita (lifelong learning) perché è fondamentale essere capaci di connettere le discipline e non di separarle e disgiungerle.
Nel libro insisto molto su questo punto, soffermandomi sulla necessaria impostazione di un approccio sistemico e basato sulla comprensione delle basi di fondo della complessità. Approccio sistemico e visione capace di comprendere la complessità costituiscono basi centrali della sostenibilità. Abbiamo sempre meno tempo a disposizione. C’è perciò bisogno di un grande lavoro di formazione ed educazione che deve procedere, data l’urgenza del cambiamento, di pari passo con le azioni concrete per modificare significativamente l’attuale modello economico dominante, passando dall’economia della crescita all’economia del ben-essere. Solo ristabilendo un senso profondo del prendersi cura della Terra e dei suoi fenomeni da cui deriviamo, possiamo pensare di avere realmente un futuro sostenibile e la conoscenza scientifica ci sta indicando lo Spazio Sicuro Operativo (SOS) nel quale possiamo operare.