Pubblicato sul n. 2 del 2023 di QualEnergia
Nell’immaginario collettivo e nella classe politica la transizione energetica è un’operazione puramente tecnologica: basta sostituire le tecnologie di produzione dell’energia alimentate da fonte fossile con altre tecnologie alimentate da fonte rinnovabile e le tecnologie poco efficienti con altre più efficienti. Le parole d’ordine sono: rinnovabili e efficienza energetica. Così, si pensa, basta eliminare le centrali elettriche a gas e a carbone e sostituirle con impianti fotovoltaici ed eolici, sostituire le caldaie con le pompe di calore per riscaldarci e produrre acqua calda e sostituire le auto a benzina e diesel con quelle elettriche. Qualcuno, più addentro nella problematica, magari aggiunge che occorre pure cambiare alcuni processi industriali. Ma sempre di sostituzioni tecnologiche si tratta.
Tutte operazioni difficili, costose, che richiederanno un riposizionamento di alcune imprese e un po’ di formazione per accompagnare la transizione da un tipo di produzione ad un’altra, ma che non intaccheranno i nostri stili di vita. I fondamentali, economia e valori, rimarranno quelli di prima.
Il piano per la Transizione Ecologica
E proprio sul presupposto che solo di una transizione tecnologica si tratti, che niente dovrà cambiare nei nostri stili di vita e nel modello economico e culturale in cui siamo immersi, implicitamente si basano i documenti finora prodotti dalle nostre istituzioni preposte alla transizione energetica, la Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra[1] e il più recente Piano per la Transizione Ecologica[2] che la ingloba. La conseguenza di questo assunto è che per raggiungere l’obiettivo emissioni nette zero al 2050 bisogna necessariamente ricorrere alla cattura e sotterramento di una parte della CO2 prodotta (CCS, Carbon Capture and Storage), una soluzione tecnologica in merito alla quale la comunità scientifica ha, a dir poco, fortissime perplessità per ragioni di sicurezza, economiche, ed ambientali.
L’esigenza della CCS nasce da due fattori: a) alcuni processi industriali sono difficili da decarbonizzare e b) per garantire la continuità del modello economico e culturale la produzione di beni non deve significativamente variare. Per questo occorre continuare ad usare una certa quantità di fonti fossili e si rende necessario sotterrarne la CO2 prodotta.
Inoltre anche per il modello di produzione agricola – che, a causa principalmente degli allevamenti intensivi, emette gas serra invece di assorbirli, come dovrebbe – si assume che non debba significativamente cambiare e, per compensare sia pure in parte le emissioni, si sotterra parte della CO2 prodotta dalla combustione di biomasse.
Dunque, per raggiungere la condizione emissioni nette zero al 2050, mantenendo modello e economico e stili di vita invariati bisogna necessariamente ricorrere alla CCS, questa è la conclusione a cui arrivano i documenti.
E meno male che quando furono scritti si pensava che i due referendum sul nucleare lo avessero escluso dalle opzioni energetiche. Ma ora il vento è cambiato e il governo, più qualcuno che nel governo non è, ignora i referendum e aggiunge alla CCS le fantomatiche centrali nucleari di IV generazione, giustificate dal fatto che non emettono CO2. In questa visione c’è energia senza limiti, senza emissioni di CO2, generata in parte da un numero sempre crescente di reattori nucleari di piccola taglia e in parte dalla combustione di gas, la cui CO2 prodotta si sotterra. Una transizione energetica che, non ponendo limiti alla crescita dei consumi energetici, rafforza il modello che permette la crescita illimitata del PIL e conseguentemente della quantità di risorse che si estraggono dall’ambiente, cioè il modello economico e culturale che ci ha portato alla crisi climatica e ambientale con la quale siamo ora costretti a confrontarci. Questa è la inevitabile conseguenza dell’attuazione della transizione energetica come transizione meramente tecnologica.
Lo studio négawatt
Ma non tutti la pensano così, cioè che la transizione energetica debba essere solo una transizione tecnologica, e prefigurano approcci diversi, come quello contenuto nello studio La transition énergétique au cœur d’une transition sociétale[3] (La transizione energetica al centro della transizione sociale), preparato dalla associazione non governativa francese “négaWatt”, che si pone l’obiettivo di raggiungere, al 2050, la neutralità carbonica della Francia migliorando nel contempo la qualità della vita, senza CCS e senza nucleare (non sostituendo le centrali che via via arrivano a fine vita).
Perché prendere a modello questo studio? La ragione c’è, e sta proprio nel titolo, che esplicita la dimensione sociale della transizione. Cosa che manca del tutto nei due studi italiani.
Nello studio francese l’attenzione alla dimensione sociale influenza le soluzioni tecnologiche; infatti prevede che nel 2050 saranno state poste in atto dinamiche economiche nuove e strategie industriali significativamente diverse, e grazie a queste si creeranno centinaia di migliaia di posti di lavoro permanenti e il calo dei consumi energetici libererà potere d’acquisto per le famiglie. Al modello di transizione energetica proposto conseguirà che le condizioni sociali saranno migliorate: l’insicurezza e la vulnerabilità energetica saranno notevolmente ridotte, così come le disuguaglianze nelle risorse economiche e nell’accesso ai servizi, offrendo alla popolazione uno spazio di vita più equo e sicuro nel lungo periodo. Inoltre l’intera popolazione beneficerà di una salute migliore, grazie a una riduzione complessiva dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, a un’alimentazione molto più sana e a un maggiore utilizzo di modalità di trasporto attive come la bicicletta e gli spostamenti a piedi.
Insomma si sottolinea che non basta semplicemente sostituire i combustibili fossili con energia rinnovabile e promuovere l’efficienza energetica: non c’è transizione energetica ed ecologica senza transizione sociale. Questo perché limitare il riscaldamento globale e ridurre la pressione sulle materie prime richiede una profonda trasformazione dei nostri modelli di consumo e di produzione di energia e beni materiali, quindi una forte trasformazione della società, sia a livello individuale che collettivo, e la sua attuazione deve essere anticipata e sostenuta dall’azione politica, perché la transizione energetica è una questione politica.
Questo approccio porta a distinguere profondamente lo scenario négaWatt da quelli italiani, che basano la transizione energetica su due pilastri, le rinnovabili e l’efficienza energetica. Infatti l’approccio négawatt aggiunge un altro pilastro, non tecnico ma egualmente se non più importante, che cambia tutto: la sobrietà (Figura 1).
Figura 1 – L’approccio négawatt
La sobrietà fattore chiave dell’economia circolare
La sobrietà ci invita a mettere in discussione i nostri bisogni, le nostre scelte e abitudini di consumo e, più in generale, il nostro stile di vita. Sobrietà, sia ben chiaro, che non significa vivere da straccioni, soffrire privazioni, al contrario significa liberazione dal consumismo compulsivo che ci spinge a desiderare prodotti e servizi che non contribuiscono a migliorare la nostra qualità della vita, ma che come una sigaretta o una droga ci danno un momentaneo piacere, ma allo stesso tempo generano la necessità di reiterarlo, rendendoci schiavi.
La sobrietà è una leva essenziale per ridurre le emissioni di gas serra, perché è l’ingrediente base dell’economia circolare che – spingendo verso prodotti durevoli, riparabili, riusabili, rigenerabili – si oppone di fatto al consumismo, cioè al pilastro dell’attuale modello economico.
Riducendo la produzione di beni di consumo e di ciò che alla produzione di beni di consumo è connesso si riducono le emissioni di CO2, perché si riduce il flusso di materia che va dalla estrazione allo smaltimento, il flusso delle emissioni incorporate. Se si riduce il flusso, inoltre, si riducono anche le quantità trasportate, con impatto positivo sulle emissioni del settore trasporti.
L’applicazione dei principi dell’economia circolare all’agricoltura porta all’abbandono dell’attuale modello di produzione, mutuato da quella industriale, e al passaggio alla agroecologia, che permette di restituire alla terra il ruolo di assorbitore di carbonio, non emettitore come è ora, e di ripristinare cicli che sono stati interrotti. Attuare l’agroecologia implica anche un cambiamento del modello di alimentazione, con meno carne e più vegetali.
In conclusione con la sobrietà, cioè applicando i principi dell’economia circolare, le emissioni di gas serra si possono ridurre tanto da non avere alcun bisogno di ricorrere né alla CCS né al nucleare.
La sobrietà in pratica
Alcune delle indicazioni dello studio négawatt sono già state realizzate, in Francia, anticipando le corrispondenti iniziative europee. E così la Francia è il primo paese a mettere in atto il diritto alla riparazione, il primo a bandire gli imballaggi mono-uso per frutta e verdura (sia pure con alcune eccezioni), il primo ad imporre spazi obbligatori per lo sfuso nei supermercati. Sono tutte misure che rientrano in uno stile di vita più sobrio, che sfugge al meccanismo compra-usa-getta, fa durare di più ciò che si compra e riduce la quantità di rifiuti.
Non che con questo si voglia dire che i nostri cugini francesi abbiano abbandonato il modello consumista, tutt’altro, ma almeno qualche contentino è stato dato perché l’opinione pubblica ha mostrato di essere più attenta a queste problematiche di quanto non lo sia quella nostra, dimostrando che qualche sia pur timido passo verso la sobrietà si può fare.
Ma è l’attuazione del “Piano d’azione per l’economia circolare” europeo che marcia con più decisione verso la promozione della sobrietà, che si traduce prima di tutto nella riduzione dei rifiuti. E così, oltre al diritto alla riparazione l’Europa cerca di promuovere l’abolizione della plastica mono-uso, gli imballaggi riusabili, il deposito su cauzione, la riduzione degli sprechi alimentari, la trasformazione dei rifiuti organici in biogas e fertilizzanti, le pratiche agroecologiche, per citare solo alcune delle iniziative che con difficoltà di varia natura stanno lentamente realizzandosi.
E da noi? Il modello non si tocca
E da noi? Altro che sobrietà. Purtroppo sembra proprio che si voglia mantenere in vita a tutti i costi così com’è il sistema energetico e il modello economico e culturale che lo sostiene. Infatti invece di rallentare il processo di decarbonizzazione si continua a sostenere il gas, giustificando la scelta con la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento – e dimenticando che conviene sostituire il gas con fonti rinnovabili, non solo cercare altri paesi, diversi dalla Russia, da cui comprarlo. Non solo, ora si pensa di fare dell’Italia l’hub europeo per il gas, raccogliendolo dall’Africa, principalmente, attraverso gasdotti, impianti di liquefazione e rigassificazione, navi metaniere, e poi convogliandolo verso nord, verso l’Europa. Un’Europa che evidentemente si immagina continuerà per i prossimi decenni a consumare grandi quantità di gas, sennò quello dell’hub sarebbe un investimento in perdita sicura, una follia economica. Un’Europa, cioè, in cui il Green Deal sarà un clamoroso fallimento. Un’Europa che quindi, per dare una parvenza di rispetto degli impegni presi a Parigi sul limite alle emissioni di gas serra, dovrà necessariamente dedicarsi anima e corpo al sotterramento della CO2. E così faremo anche noi. Con grande soddisfazione delle multinazionali Oil&Gas, la nostra inclusa (c’è già almeno un progetto dell’ENI, per Ravenna[4]), che caldeggiano da sempre questa soluzione, invece di far crescere le rinnovabili, e che purtroppo sembra stiano vincendo la loro guerra negli USA, avendo convinto il governo a incentivare questa pratica con ben 85 dollari per tonnellata CO2 sotterrata.
E se non bastasse, non c’è niente di meglio dello specchietto per le allodole del nucleare di IV generazione per rallentare la transizione verso le fonti rinnovabili, con la scusa: inutile scalmanarsi tanto, perché c’è la soluzione pronta sulla porta di casa.
Lo sforzo teso a mantenere il modello esistente, quello che ci ha portato alla crisi ambientale, si rivela anche in altre scelte emblematiche che sono state fatte dal governo: l’opposizione al bando delle auto a benzina e diesel dopo il 2035, alla nuova direttiva sull’efficienza energetica degli edifici e al regolamento europeo sugli imballaggi. Quest’ultimo tema è particolarmente critico, perché segna il crinale che separa un modello basato sul consumo senza fine, sulla estrazione crescente di risorse dall’ambiente da quello che – attraverso la sobrietà come parametro guida e l’economia circolare come modello operativo – mira invece a porre dei limiti alla crescita, rispettando i limiti che le leggi della natura ci impongono e a privilegiare invece lo sviluppo, la qualità invece della quantità.
La transizione energetica sostenibile
Da questo panorama deriva in modo inequivocabile che l’equazione transizione energetica = transizione tecnologica e nient’altro è non soltanto sbagliata ma anche socialmente dannosa, avendo come fine il mantenimento della causa del disastro ambientale, cioè il modello economico e culturale centrato sul consumismo, che è pure causa della ingiustizia sociale, come la parte comunità scientifica internazionale più avvertita, e recentemente anche l’Agenzia Europea dell’Ambiente[5], non si stanca da anni di sottolineare.
Da notare che il Green Deal esplicita la
stretta connessione fra la una società più sostenibile e una società più
giusta, fra la dimensione ambientale e quella sociale, quando identifica come
pilastri della transizione ecologica le rinnovabili, l’economia circolare, la
mobilità sostenibile, la difesa della biodiversità, la trasformazione del
modello di produzione degli alimenti, aggiungendo che il piano deve essere
realizzato “senza lasciare indietro nessuno”.
[1] Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra https://www.mite.gov.it/sites/default/files/lts_gennaio_2021.pdf
[2] Mite, Piano per la transizione ecologica, 2022 – https://www.mite.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/PTE/PTE-definitivo.pdf
[3] La transition énergétique au cœur d’une transition sociétale, Association négaWatt, 2022
[4] Eni: progetto di cattura e stoccaggio della CO2 di Ravenna contributo importante alla transizione energetica, 16 luglio 2021 – https://www.eni.com/it-IT/media/news/2021/07/eni-progetto-cattura-stoccaggio-ravenna.html
[5] Growth without economic growth, EEA, Jan 2021 – https://www.eea.europa.eu/publications/growth-without-economic-growth
Molto bello!
un dubbio semantico: quale è la differenza tra transizione energetica e transizione ecologica?
La seconda immagino dovrebbe comprendere anche gli aspetti sociali.